Parole della pace, dalle disuguaglianze economiche ai conflitti attuali.

Parole della pace, dalle disuguaglianze economiche ai conflitti attuali.
Incontro pubblico del 30 Maggio 2025
L’associazione Asfodelo torna dopo una pausa di riflessione e lo fa occupandosi di un tema scottante e quanto mai attuale, come le disuguaglianze economiche e il rapporto tra pace e giustizia.
L’idea di organizzare un incontro pubblico su questo tema nasce dall’esigenza di dover riflettere sulla necessità di rimettere ordine tra i pensieri a livello personale prima, e sociale poi. Le parole di Papa Francesco ci aiutano in questa riflessione, definendo la pace «artigianale», nel senso che non devono costruirla solo i potenti, con le loro decisioni e i loro trattati, ma noi per primi.
«Se manca la giustizia, la pace è minacciata: senza la pace, la giustizia è compromessa»
(Papa Francesco)
Sono intervenute Claudia Sunna, docente di Storia del Pensiero Economico, Presidente di Scienze Politiche e Anna Paola Paiano, docente di Pedagogia generale e dell’Emergenza dell’Università del Salento.
Il dibattito è iniziato con una riflessione sulle parole del Cancelliere tedesco Friedrich Merz «Il nostro compito storico è quello di rendere l’Europa così forte da poter ripristinare la pace nel nostro continente e garantire la libertà»1, una dichiarazione che sembra non condurre verso la pace, ma presagire altri scenari, come quelli che purtroppo siamo abituati a vedere negli ultimi tempi.
La docente Claudia Sunna ha sottolineato il legame tra l’analisi della questione delle disuguaglianze economiche e il tema dello sviluppo economico. Il primo ad occuparsi di questa correlazione fu l’illuminista Adam Smith nel 1776 ne La ricchezza delle nazioni, in cui si esplica la sua visione di sviluppo, e definisce l’idea di progresso, secondo cui l’obiettivo della crescita economica consiste nel progresso diffuso per tutti attraverso la produttività che aumenta man mano che progredisce la divisione del lavoro, favorita dall’espansione dei mercati, a sua volta legata allo sviluppo economico.
Oggi, siamo di fronte a due modi differenti di vedere le disuguaglianze. Da un lato alcuni studi sostengono l’idea, molto diffusa, che le disuguaglianze economiche siano un ostacolo allo sviluppo economico, essendoci troppa disuguaglianza tra la disponibilità di reddito e la disponibilità di ricchezza. La distribuzione della terra, ad esempio, è stata alla base della disuguaglianza tra Nord e Sud del Paese, con un Mezzogiorno caratterizzato da grandi unità territoriali, che derivano da epoche antiche, con effetti seri sulla trasformazione strutturale.
Ci sono altri studiosi che sostengono invece che l’unico modo per far crescere l’economia è far diventare i ricchi sempre più ricchi, perché questi, avendo maggiore capacità di risparmio, hanno maggiore capacità di investimento, con l’idea che i ricchi possano creare nuovi posti di lavoro. Purtroppo in tal modo la ricchezza diventa ricchezza finanziaria, cioè diventa denaro che produce altro denaro e non, si traduce in investimenti per le comunità o in altre forme sane di sviluppo economico.
La maggior parte dei conflitti attuali si basano appunto su una forte disuguaglianza economica, che può essere definita radicale e storica, a cui non si è mai posto rimedio. L’unica fase storica in cui si è ridotta la disuguaglianza, sia interna ai Paesi avanzati, sia nei rapporti tra Paesi, è stato nel periodo compreso tra gli anni ‘50 e ‘70, l’epoca del Welfare State e del boom economico in Italia. Quindi si può ridurre la disuguaglianza economica? Certo, non è impossibile riuscirci ma serve la volontà politica di farlo, e soprattutto serve una visione, una strategia per il futuro.
La seconda riflessione nasce dalla provocazione di una frase, pronunciata dall’astronauta italiano Luca Parmitano: «Se non ti siedi al tavolo allora sei nel menù», riferita alla scarsa competitività delle politiche europee per lo sviluppo della ricerca spaziale, perché si hanno tempi più lunghi tra la progettazione e l’azione, rispetto a quella di Stati Uniti o Cina o Russia i cui tempi sono decisamente più brevi. È la logica del più forte, in uno scenario in cui le persone comuni che non si siedono al tavolo di chi comanda, non decidono o non hanno da mangiare. E sono tanti oggi gli scenari di conflitto che non occupano la prima pagina dei giornali, per scelte giornalistiche, però giungono notizie inquietanti dalla Palestina, dalla Siria, dall’Ucraina o dalla Striscia di Gaza.
L’Unicef riporta cifre spaventose di bambini che si misurano con l’assenza di ogni forma di normalità: cibo, giochi, scuola, futuro. Arianna Genovese, la moderatrice dell’incontro, riporta delle osservazioni di una giornalista rimasta colpita dal gesto di un bambino che è corso a raccogliere dalle macerie una macchinina insanguinata e coperta di schegge di vetro, perché voleva continuare a giocare dopo un bombardamento. Immagini che ti restano impresse nella mente e fanno pensare a come è possibile costruire una nuova prospettiva di pace in contesti martoriati dalla guerra.
È sullo sfondo di eventi terribili di questo genere che nasce la cosiddetta “Pedagogia dell’Emergenza”, su cui interviene la docente Anna Paola Paiano, mostrando infatti i dubbi che attanagliano educatori, insegnanti, pedagogisti sull’efficienza del proprio operato di fronte a un contesto così complesso com’è la scuola e come è diventato il mondo oggi laddove si moltiplicano le situazioni di perdita della normalità. La pedagogia dell’emergenza non risponde all’«emergentismo» che invece la scuola è costretta quotidianamente ad affrontare e rincorrere, essa nasce grazie ad un gruppo di docenti universitari, ricercatori e pedagogisti nel 2009 in occasione del terremoto dell’Aquila. Il professore Alessandro Vaccarelli, professore dell’Università dell’Aquila, ha iniziato a occuparsene in seguito al sisma e allo sciacallaggio di cui è stato vittima il territorio che, dopo essere stato invaso dalle televisioni nelle prime ore successive al terremoto, è stato poi abbandonato e lasciato a quel «tempo zero», a quelle 3.00 di notte del 6 aprile quando la terra ha tremato, le case sono crollate e le scuole sono state chiuse.
Come risponde la pedagogia dell’emergenza? Risponde pensando ad una progettazione educativa dam quel tempo zero in poi, a come affrontare il giorno dopo, il giorno successivo a quell’interruzione del quotidiano, a come aiutare le comunità coinvolte in situazioni di crisi, a superare lo schock del banco vuoto, il dolore delle perdite. Quello che è necessario fare è lavorare sulle competenze, come dice il grande maestro Paulo Freire ne La pedagogia dell’autonomia, in cui elenca alcune competenze che gli insegnanti devono avere nella cassetta degli attrezzi, spiega Anna Paola Paiano. Sono quelle competenze che servono per accompagnare docenti, educatori e pedagogisti prima dell’arrivo di quel tempo zero. La Pedagogia dell’Emergenza si occupa quindi di approfondire e sviluppare le tematiche relative al ruolo dell’educazione nei contesti segnati da catastrofi naturali, ambientali, ma anche da emergenze di tipo socio-politico. Le emergenze possono essere esplosive ed implosive. Esplosive come lo scoppio del gasdotto di Ravanusa, che ha causato il crollo di una parte della scuola e di una palazzina, come le guerre in Palestina o in Ucraina, che hanno costretto tanti bambini a scappare e venire in Italia. Ecco che la pedagogia dell’emergenza si è preoccupata di accogliere quei bambini che arrivavano nelle nostre scuole, ma che non avrebbero voluto lasciare la loro.
L’emergenza sanitaria del Covid-19 è stata un’emergenza implosiva che ci ha chiuso nelle nostre case. La scuola è la grande vittima del Covid-19, la pandemia ha evidenziato come le emergenze possano causare isolamento e solitudine, con una relazione educativa completamente assente, e le disuguaglianze sono aumentate, e tra le grandi povertà materiali, quella che fa più paura è la povertà educativa. Povertà delle possibilità e delle opportunità che non sono per tutti, purtroppo, ma che invece dovrebbero essere indirizzate a tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze. Persone che non hanno la possibilità di avere parola, ci si dimentica anche del diritto al nome, ormai siamo numeri. Forse si dovrebbe ripartire da queste contro-narrazioni, la pedagogia è politica e bisogna avere il coraggio di prendere parola, secondo un approccio bottom-up.
Un’altra forma di disuguaglianza è proprio la mancanza di opportunità per i giovani, che non hanno una visione positiva del futuro, sottolinea la docente Claudia Sunna, come accade in Italia e nel Mezzogiorno: si parte per scoprire il mondo, ma non si torna indietro. Si tratta di un fenomeno grave che accentua le disuguaglianze già in essere. Se si prende in considerazione il concetto di sviluppo umano, invenzione dell’economista Amartya Sen, esso contiene diverse dimensioni, non solo economiche ma anche legate alla sfera dell’istruzione e della salute, si può ottenere una lettura più completa di quanto sta accadendo anche in paesi ad economia sviluppata come il nostro, in quanto la combinazione di questi tre fattori può avere esiti infiniti. Dove i territori sono più organizzati e la politica è più organizzata, anche la scuola è più organizzata e i risultati sono migliori (e in ragione di questo, si dovrebbero riconsiderare e valutare con una lente più ampia anche i risultati delle prove Invalsi). È una questione politica, ribadisce la prof.ssa Sunna, nessuno parla più di futuro, nessuno vuole risolvere queste disuguaglianze, perché non si riescono a vedere risultati immediati.
Siamo di fronte al rischio serio di naturalizzare le disuguaglianze, la marginalità sociale, l’esclusione e le condizioni di povertà assoluta ed educativa. Numerosi autori hanno messo in evidenza anche il rischio di ridurre questi fenomeni a tratti caratteristici dell’essere umano contemporaneo, nella sua complessità. Occorre tornare a lavorare su un’idea di FUTURO, su una vision condivisa, con una Politica educativa, formativa e sociale che parta dai territori.
È quindi necessario un riposizionamento della sfida educativa nella convinzione che, come rimarcava Freire (1971), l’educazione non cambia il mondo, ma cambia le persone che cambiano il mondo.
Musio Maria Concetta
Docente di Scuola dell’Infanzia
Socia Ordinaria di “Asfodelo”
1 Articolo di Gianluca di Donfrancesco, “Von der Leyen: “Le nostre democrazie sono sotto attacco”, in IlSole24ore, 30 maggio2025, p.13
2 Articolo di Silvia Benvicelli, Se non ti siedi al tavolo allora sei nel menu, in Il venerdì di Repubblica, 30 maggio 2025, p. 25
3 Padre Enzo Fortunato, Il gioco azzerato dalla guerra: i bambini e l’infanzia spezzata, in IlSole24ore, 30 maggio 2025
4 Patera Salvatore Povertà educativa. Bisogni educativi interdetti e forme di esclusione, Franco Angeli 2022





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