Nuove indicazioni 2025: una visione culturale e pedagogica da far paura.

Nuove indicazioni 2025: una visione culturale e pedagogica da far paura.
Chi tace, è complice!
Ho portato a termine con estrema fatica la lettura del documento concernente le Indicazioni 2025, ridondante, retorico, contraddittorio in più parti, infarcito qua e là di dotti latinismi e, ultimo, ma non ultimo, chiaramente e spudoratamente ideologico.
Un documento programmatico di tal genere dovrebbe essere il frutto di una mediazione attenta tra più posizioni, quindi dovrebbe ascoltare più “voci” e tener conto degli studi più avanzati della ricerca scientifica e metodologico-didattica.
Nulla di tutto questo compare nel testo, che, si spera, terrà almeno in considerazione le diverse “voci” che via via stanno giungendo dal mondo della scuola e dalle associazioni disciplinariste e di settore.
Quando il documento è stato reso pubblico, la prima domanda che mi sono posta è stata: “Era necessario rivedere e, ahimè, sostituire il testo delle vigenti Indicazioni Nazionali per il I Ciclo del 2012? Indicazioni peraltro rafforzate dai Nuovi Scenari del 2018? Non sarebbe bastato qualche aggiornamento qua e là, soprattutto sul versante delle competenze?”[1]
La domanda è ovviamente retorica, e rimanda alle considerazioni su una classe politica che, invece di pensare seriamente e concretamente ai problemi effettivi che la scuola italiana ha (metodi di lavoro, nella maggior parte degli istituti, ancora arretrati rispetto all’evoluzione attuale della ricerca psicopedagogica; scarsa attenzione ai disagi degli studenti; poca incidenza delle pratiche inclusive; formazione in servizio dei docenti qualitativamente poco efficace; scarsa valorizzazione del personale; ma l’elenco potrebbe continuare), medita di sostituire documenti validi e di attaccarsi al petto la medaglia di una presunta riforma senza senso e senza significato pedagogico, psicologico e didattico.
Sono rimasta colpita, in questi giorni di intenso dibattito sulla questione, dalle parole di chi giustamente afferma che le Indicazioni del 2025 (onestamente ho difficoltà a definirle “nuove”!) sono state scritte per gli insegnanti, per dare loro indicazioni di lavoro, e non per gli studenti.
Purtroppo è vero!
La logica demagogica del cambio di prospettiva è chiara: un testo che dovrebbe rassicurare i docenti, soprattutto quelli “tradizionalisti”, che avalla una serie di pratiche didattiche ormai obsolete, che da sempre hanno dato pochi “frutti” in termini di sviluppo delle competenze degli alunni e che, al contempo, esalta la figura dell’insegnante “Professionista, e anche Maestro…Magis, di più ” (pag. 9- Indicazioni 2025)
Non vorrei essere fraintesa a tal proposito: certo che il docente deve essere professionista serio, maestro autorevole, esempio concreto e tangibile per lo studente, così come è altrettanto certo che attaccare e denigrare un docente, vederlo come nemico non conduce sicuramente alla diffusione di una cultura del rispetto e del dialogo costruttivo con l’istituzione scuola, ma, al contempo, è necessario chiedersi quali competenze debba possedere un insegnante perché si comporti da “Maestro”, quali valori ed atteggiamenti possono far sì che la sua autorevolezza divenga un modello di riferimento per gli alunni. I quali, per inciso, non è affatto vero che siano privi di curiosità o di voglia di apprendere (L’allievo, infatti, non sceglie di desiderare di imparare- Indic. Naz. 2025, pag. 9), piuttosto è più onesto dire che spesso perdono la loro naturale curiosità e tendenza all’esplorazione anche per colpa di insegnanti asfissianti, troppo rigidi ed ingessati nei metodi, nonché freddi e distaccati nella relazione educativa.
Non solo.
Il Maestro…Magis opera da solo? E la collegialità? E i riferimenti all’assoluta necessità del lavoro di squadra dove sono? Accennati qua e là, rafforzano l’impressione che non si voglia più di tanto sottolinearne il valore imprescindibile in termini di condivisione dell’impianto formativo e dei curricoli (altro concetto quasi del tutto scomparso dal testo!)
Insomma, le analisi non vanno semplificate, ma al contrario sempre più articolate, soprattutto in contesti complessi come quelli in cui viviamo. Invece l’assurda semplificazione diviene spesso il metodo dominante nella stesura di questo documento.
“Persona, Scuola, Famiglia” è l’incipit della PREMESSA, in contrasto con “Cultura, Scuola, Persona” delle Indicazioni Nazionali 2012.
Ad un’attenta analisi sociologica del testo del 2012, che evidenzia la complessità del “paesaggio educativo”, corrisponde qui un banale riferimento al rapporto scuola-famiglia, che sembrano essere le due uniche agenzie educative e formative che ruotano intorno ai ragazzi.
E il territorio? La comunità? Il mondo dei social? Appena accennati in fuggevoli passaggi.
Come se non bastasse, si citano i famosi “Patti di corresponsabilità educativa” come un “prezioso dispositivo normativo già esistente”, con cui “è possibile progettare occasioni di conoscenza reciproca, di incontro e dialogo fra studenti, insegnanti, genitori: ad intra, nella comunità scolastica, e ad extra, nella comunità territoriale.” (pag.9 -Indicazioni 2025)
Ebbene, noi che siamo persone di scuola, sappiamo bene come negli anni tali Patti siano divenuti un mero adempimento formale, poco rispettato da tutti, se non addirittura ignorato, soprattutto nei momenti critici di gestione del dialogo con le famiglie (penso ai casi di bullismo, cyberbullismo, dispersione esplicita o implicita).
Una riflessione sul concetto di “persona”, che per fortuna non è scomparso, rispetto alle Indicazioni 2012 e che viene richiamato in tutte le sue dimensioni, “cognitive, affettive, relazionali, corporee, estetiche, etiche, spirituali”, ma che purtroppo viene subito associato all’ Occidente, a sottolineare pericolose primogeniture: “Il termine ‘persona’ ha radici storico-culturali occidentali” (pag. 8- Indicazioni 2025). Il che è anche vero, ma non era certo necessario sottolinearlo, così come non era necessario evidenziare che “il privilegio della nostra civiltà è nel confronto” (e le altre civiltà?!) (pag. 8- Indicazioni 2025).
Insomma, comincia a comparire quel fantasma pericoloso dell’Occidente che si aggira furtivo nell’intero documento, a suggerire, implicitamente ed esplicitamente, la supremazia culturale dello stesso, in una visione spudoratamente occidentocentrica, in barba alla multiculturalità della società odierna, visione che, con molte imprecisioni e strafalcioni storici, continua nel paragrafo “Libertà, cura di sé ed etica del rispetto” (pag. 10 – Indicazioni 2025)
Con toni filosofeggianti e moralistici, il paragrafo inneggia alla educazione alla libertà: “Le scuole del primo ciclo permettono inoltre, grazie all’educazione alla libertà, lo sviluppo del senso morale e la comprensione del principio di autorità, conquiste interiori dell’uomo libero. L’educazione alla libertà, infatti, non è sviluppo dello studente nella libertà, ma sviluppo della libertà nello studente. Grazie al lungo allenamento all’autogoverno garantito negli anni di frequenza scolastica, e in virtù delle ‘regole’ (regole di comportamento, ma anche regole tratte dai contenuti e dai metodi delle stesse discipline, come, p.e., le regole di grammatica), l’allievo interiorizza il senso del limite e un’etica del rispetto verso il prossimo” (pag. 10- Indicazioni 2025).
Siamo contro l’educazione alla libertà? Assolutamente no! Ma bastano l’allenamento all’autogoverno e l’ossequio alle regole (da quelle del comportamento a quelle della grammatica, per stare ai loro esempi) a garantire lo sviluppo del senso del limite e la cultura del rispetto? Bastano oggi, in una società in cui il relativismo culturale, unito alla molteplicità degli stimoli comunicativi, hanno complessizzato il rapporto con la realtà, nonchè la percezione e l’analisi della stessa?
Secondo me no, anzi, serpeggia tra le righe un pericoloso ritorno a forme di autoritarismo pedagogico che pensavamo di avere abbondantemente debellato.
E di certo l’autoritarismo non educa, semmai costringe.
Ma poi, forse per salvare capra e cavoli, e non scontentare nessuno, viene fuori un paragrafo sulla “Scuola che sa creare culture educative”, aperta al confronto e pronta a divenire comunità educante, anche con il supporto della grande tradizione dell’attivismo pedagogico. Insomma, quasi il contrario di quanto affermato prima.
Il riferimento, più avanti, alla cura del pianeta e all’uso dell’IA con “prudenza e senso critico” affronta questioni senz’altro importanti, anzi, imprescindibili (sia pure non nuove), ma, ancora una volta, mischia le carte in modo incoerente.
“In questo momento storico urge, dunque, una scuola che aiuti a capire e ad abitare un pianeta complesso, promuovendo l’integrazione fra saperi e, nel contempo, competenze sociali per instaurare nuovi patti di solidarietà fra le generazioni” (pagina12- Indicazioni 2025): siamo d’accordo!
“Sono numerosi gli studiosi di ogni ambito che hanno da tempo letto i segni dell’impatto dei modelli economico-tecnicistici applicati ai mondi dell’istruzione intravvedendo la soglia, superata la quale si rischia di compromettere la relazione tra cultura e società, tra passato e presente, senza la quale un Paese è condannato alla regressione. Il latino nella scuola secondaria di I grado, l’ampliamento contenutistico e metodologico di letteratura e grammatica, le connessioni pluri e interdisciplinari fra le discipline STEM e le arti, la musica, sono scelte delle Nuove Indicazioni funzionali a una formazione che aiuti gli studenti a maturare visioni complesse sui problemi contemporanei e sguardi interdisciplinari sui grandi oggetti della conoscenza (pag. 12- Indicazioni 2025): e qui siamo al ridicolo, nel senso che l’integrazione fra i saperi, che prevede approcci epistemologici multi e transdisciplinari articolati, è risolta con riferimenti contenutistici a singoli ambiti disciplinari (latino, letteratura, le STEM, le arti, la musica), riducendo ancora una volta la complessità a linearità.
Meglio sarebbe stato non evidenziare sterili elenchi, a mò di ricette pronte per l’uso.
Incappiamo poi nel paragrafo “Scrivere è..vivere. E si apprende a scuola”, i cui contenuti lasciano un po’ basiti, mentre la mente cerca faticosamente di capire che senso ha collocare a questo punto del documento un paragrafo di tal genere.
Tanti i suggerimenti e i consigli su come insegnare a scrivere, in termini sia di competenza tecnica (grafia, corsivo e via dicendo), sia di competenza ideativa. Torna il fantasma del “programma”, in barba all’autonomia delle istituzioni scolastiche da un lato e, dall’altro, alla libertà di insegnamento dei docenti.
E infine la sorpresa finale, il paragrafetto dal titolo “Scuola che sa essere inclusiva”, sì, perché di questo si tratta, di un misero paragrafetto.
Due paginette buttate lì, banali, incomplete, che nascondono la più pericolosa delle ideologie, che striscia subdola fra i righi: includere gli alunni con disabilità è mera utopia, quindi non serve perdere tempo più di tanto (risuonano nella mente le frequenti parole di Ernesto Galli Della Loggia, vero guru di queste cosiddette nuove Indicazioni, sulla necessità di riaprire le scuole speciali).
Se il pensiero tacito fosse stato differente, non ci saremmo trovati di fronte ad una sintesi stringata di questo genere, una sorta di superficiale riassunto di quanto da decenni si sa sull’inclusione: la personalizzazione, i BES, il Progetto di Vita, l’UDL, la contestualizzazione dei contesti e via dicendo.
Ha ragione Raffaele Iosa: “A fronte dell’esplosione di certificazioni, con le diverse suggestioni separative di didattiche neobehavioriste, di tecnologie isolanti, piuttosto che una discussione aperta e coraggiosa sulla “crisi della didattica inclusiva” (tra cui conta ad esempio il docente di sostegno sempre meno preparato e formato), si propone in questo documento una minestrina di basso profilo che non conterà nulla, non servirà a crescere.”[2]
Mi fermo qui.
Non entro per ora nei diversi ordini del I Ciclo e nel discorso sulle discipline, che “meritano” ben altro spazio e ben altra dettagliata analisi critica.
Tuttavia non posso a questo punto non pensare a Giancarlo Cerini e alla sua metafora della “ballata popolare”.[3]
Scriveva infatti “Ma chi decide del futuro della scuola? Il Governo pro tempore ha forse diritto a un progetto pedagogico compiuto, ad un suo modello di scuola? Ci piacerebbe dire che è solo la Repubblica ad avere diritto ad un progetto di istruzione pubblica. Ecco perché non bastano le rivincite di breve respiro. Occorre argomentare, leggere i bisogni del Paese, degli allievi, fare diagnosi convincenti, costruire una proposta avvincente… Non basta il programma di governo. Occorre avere un progetto, che poi si trasforma in una ‘ballata popolare’ dove gli attori e i ruoli si intrecciano; occorre fare chiarezza sulle risorse, sugli investimenti in formazione del personale: ricostruire motivazioni, condizioni di benessere, di soddisfazione, di incentivi al miglioramento; coltivare alleanze con i genitori, le comunità; prestare attenzione ai luoghi non formali dell’apprendimento”.
Non credo che queste Indicazioni potranno mai diventare una ballata popolare.
Caterina Scarascia
Formatrice
Dirigente Scolastica in quiescenza
Presidente di “Asfodelo”
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[1] L’utilizzo del corsivo nell’intero articolo è scelta esclusiva dell’autrice.
[2] R. Iosa- L’inclusione tra finzione, retorica, banalità” in “Nuove Indicazioni 2025: analisi critica a più mani”, ebook a cura di R. Palermo- Gessetti Colorati, pag. 75- Aprile 2025
[3] G. Cerini– Se la riforma fosse una ballata popolare-Intervento di chiusura al seminario “Idee per la scuola che verrà”- San Benedetto del Tronto- 3-4 luglio 2006
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